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Intervista a Fabio Rastelli, allenatore medaglia olimpica di Triathlon maschile a Parigi 2024 

Fabio Rastelli ha la voce pacata, squillante e decisa di uno abituato a incoraggiare e ad alzare l’asticella senza fare troppi sconti. Fabio è un allenatore di Triathlon e alle Olimpiadi di Parigi 2024 un atleta del suo gruppo, Léo Bergère (Francia), ha vinto la medaglia di bronzo nella competizione maschile. Questa è la fine, ma L’inizio di questa carriera comincia all’Università degli Studi dell’Aquila. 

FR 
“Esatto. Sono laureato all’Aquila in Scienze Motorie nel 2005 con il prof. Renato Manno, poi ho conseguito la specialistica in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate nel 2007 e il Dottorato di Ricerca in Discipline delle Attività Motorie e Sportive nel 2011 con il prof. Marco De Angelis. In seguito, alcuni incarichi di docenza a contratto sempre a UnivAQ e all’Università del Foro Italico di Roma. Dopo il Dottorato sono stato ricercatore al CNR di Milano per sei anni. Il mio percorso è sempre stato ambivalente, facevo ricerca e allenavo. Alla fine, ho scelto l’allenamento. Ho deciso di perseguire solo una strada perché credo che, se si vogliono raggiungere grandi risultati, in qualunque ambito, occorre dedicarsi interamente a un singolo obiettivo per volta. 

Sei il primo allenatore italiano che ha portato un atleta a vincere una medaglia olimpica nel Triathlon 
Sì, una grandissima soddisfazione, una cosa che era per me un sogno che vedevo inarrivabile, invece piano piano ho capito che non era così irraggiungibile. Per far sì che un sogno si concretizzi, devono combinarsi tanti tasselli, occorre maturare nelle conoscenze teoriche e imparare dalla pratica come superare tutti quei piccoli problemi che ti capita di fronteggiare nella quotidianità. 

Ecco, la quotidianità: cosa fa un allenatore nella sua giornata tipo?
Tanto lavoro! C’è da seguire le sessioni sul campo degli atleti, dedicare tempo alla programmazione, pianificare gli allenamenti. Non bisogna pensare che uno stesso programma di allenamento, una volta testato, poi si possa applicare a chiunque. Ogni atleta ha caratteristiche diverse, ma soprattutto obiettivi diversi. Bisogna trovare ogni volta la giusta combinazione che permetta a quell’atleta di essere davvero performante. Spesso ci si arriva dopo anni di collaborazione ed è importante conoscere la persona che si ha davanti, le sue emozioni, le sue necessità, la sua reale motivazione. La relazione tra allenatore e atleta funziona quando non si aspetta il risultato positivo o negativo della gara, ma si lavora costantemente insieme per migliorare. Questo fa la differenza. 

Da quanto tempo lavori con Léo Bergère? 
Da due anni, ma lo conoscevo già da prima perché allenavo la sua compagna, Angelica Olmo, che ho portato alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Quando mi ha contattato era già Campione del Mondo. Gli ho chiesto perché volesse cambiare allenatore, visti i risultati, e lui mi ha risposto che cercava un professionista capace di ascoltarlo e di costruire insieme un programma efficace. Lui sapeva di potere fare molto di più e meglio, voleva vincere una medaglia alle Olimpiadi di Parigi. E così è stato. 

Questo è il lavoro sul singolo, ma tu segui una squadra. Come cambia l’impegno?  
Si deve strutturare bene il team di lavoro, perché ogni atleta deve essere disposto a mettere qualcosa di positivo nel gruppo per far sì che ognuno riesca a prendere tanto. Nel momento in cui qualcuno rovina questa dinamica, allora è bene isolarlo. È l’unico motivo per cui io possa dire a un atleta che non voglio più lavorare insieme. Lo metto in chiaro da subito. Tirare un gruppo verso l’alto è molto più faticoso che tirarlo verso il basso: se in un’ora di corsa, un atleta, dopo 20 minuti, si ferma, fa 20 minuti di cammino e poi riprende a correre gli ultimi 20 minuti sarà lui ad abbassare il livello, perché gli altri vedranno lui che cammina e si metteranno a camminare anche loro. Bergère dopo la medaglia olimpica ha detto che il gruppo è stato di grande aiuto, perché per sostenere quei volumi di allenamento per tanto tempo, per tanti mesi, è importante vedere altre persone intorno a te che condividono la fatica, l’impegno, la puntualità.  

L’impegno è tanto e tutti vogliono la medaglia alle Olimpiadi. Come leggi le polemiche suscitate dalla nuotatrice Benedetta Pilato che si è detta contenta di essere arrivata quarta? 
Bisogna distinguere il risultato dalla performance. Tra il primo e il quarto c’è una grandissima differenza di risultato, ma pochissima di performance. Parliamo di centesimi, decimi di secondo. L’atleta era soddisfatta della sua buona performance, giustamente. Le critiche che ha ricevuto sono gravi perché arrivate da persone del settore, da atleti, da tecnici che conoscono bene la questione. È ammirevole che Benedetta Pilato abbia detto in pubblico di essere contenta, è riprovevole che sia stata attaccata da addetti ai lavori che sanno quanto ci vuole per limare quel centesimo di secondo che per lei ha fatto la differenza. 

Come ritrovi nel tuo lavoro quello che ti ha dato l’Università? 
Nelle mie esperienze lavorative ho capito l’importanza di alcuni insegnamenti che durante il percorso universitario non avevo apprezzato tanto, invece poi sono tornati molto, molto utili. A esempio, i corsi di psicologia generale, psicologia dello sport, biochimica. Poi l’Università mi ha dato il giusto approccio ai problemi, il metodo per trovare soluzioni migliori. Competenze che ho appreso dai docenti che ho avuto, come Marco Valenti, Marco De Angelis, Renato Manno, Rosella Cardigno, Antonio Di Giulio. Da loro ho imparato tantissimo, soprattutto dell’approccio ai problemi e del sapersi relazionare con le persone. Le nozioni si possono apprendere ovunque, ma impari a saperle utilizzare solo se hai dei bravi maestri che hanno pazienza di mettersi lì e di insegnarti queste cose. Incontrare le giuste persone è una fortuna e io sono stato fortunatissimo, perché ne ho incontrate davvero tante. 

Cosa diresti agli studenti oggi? 
Quello che mi diceva il prof. De Angelis: “Quando non sai quello che stai facendo, fallo con la massima attenzione”. Se studio qualcosa che non so bene a cosa mi servirà, questo è un buon motivo per studiarlo a fondo. E un’altra cosa che direi è di cercare il confronto con i docenti, chiedere spiegazioni, dialogare per capire sempre qualcosa in più.  Poi dopo gli studi, credo si debba seguire la propria motivazione, come nello sport, perché questo permetterà di superare gli ostacoli nel percorso non lineare che si apre nella vita. Se sei motivato riesci sicuramente a far andare bene le cose. Bisogna essere coerenti con i propri principi, con le proprie idee e tutto il resto viene da sé. 

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